Monte Secchieta, Montemignaio (AR) e Reggello (FI), Toscana

 

Il monte Kâl è una pietraia. Ma io sto bene su lui. Il mio cappotto aderisce sui sassi come carne su bragia; e se premo, egli non cede: sí le mie mani s’incavano contro i suoi spigoli che vogliono congiungersi con le mie ossa. Io sono come te freddo e nudo, fratello. (p. 55).

Sul Secchieta c’è la neve. Andiamo sul Secchieta […] Scampagnata, gita, fuga, pazzia, leggerezza, sciocchezza: non so; so che vado sul Secchieta dove c’è la neve. Scendo dal treno, e respiro. […] Bene, se non mi sperdo; se mi sperdo, meglio. Tocco vecchi castagnoni senza midollo né carne; l’elleboro nero è fiorito. Forse i miei occhi troveranno tra le foglie brune e il musco la prima primola, accanto alla macchia di neve. […] l’animo si può ingrassare rapinando la natura. […] e i tuoi scarponi marchiano il terreno umido di linfa succhiata su in mille forme dal sole; e il tuo sguardo si spande fraternamente nel cerchio divino dei colli verdineri, sotto il cielo limpido e live che par s’elevi – luce – piú in su dell’aria. Cammina amorosamente nel tuo regno meraviglioso. […] io e il monte siamo; altro no. E non devo esser che io, in vetta. (p. 99-103).

Nel racconto autobiografico dell’autore triestino Scipio Slataper, è il Carso a essere, insieme all’autore-narratore, l’indiscusso protagonista. L’altopiano carsico accompagna il narratore nelle tre fasi della vita: l’infanzia, la giovinezza e l’età adulta. Sfondo della narrazione, ma anche superficie di ricordi e segno di appartenenza, tra il narratore e il Carso – più specificatamente, il monte Calvo (o Kâl), nell’attuale Slovenia – si crea una simbiosi (“congiungersi”) paragonabile alla parentela, grazie alla personificazione del monte (“fratello”) – che resta costante nell’arco di tutto il racconto. Il monte non è solamente sfondo o fratello, ma è anche un simbolo, evocato nei momenti centrali della vita del narratore: così, ad esempio, la discesa dal monte Calvo/Kâl significa il passaggio dalla giovinezza all’età adulta.
Interessante è la descrizione dell’inaspettata scalata del monte Secchieta, in Toscana, così diverso dal monte Calvo, eppure famigliare, per il suo essere “monte” che, nella situazione drammatica della guerra, ricongiunge il narratore con l’ambiente a lui più consono.
Arruolatosi come volontario nel Regio esercito italiano, Scipio Slataper morirà al fronte sul monte Calvario (GO), durante una delle battaglie dell’Isonzo.

Slataper, Scipio: Il mio Carso, Mondadori, Milano, 1958.