Monte San Michele, Sagrado (GO), Friuli-Venezia-Giulia
Sono una creatura
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
Sonnolenza
Da Devetachi al San Michele il 25 agosto 1916
Questi dossi di monti
si sono coricati
nel buio delle valli
Non c’è più niente
che un gorgoglio
di grilli che mi raggiunge
E s’accompagna
alla mia inquietudine
Quando ci si sofferma sulla letteratura italiana “di montagna”, un’attenzione particolare merita Giuseppe Ungaretti. Fervido interventista e arruolato in guerra come volontario, partecipa alle battaglie sul Carso. Tra il 1915 e il 1916 compone, sui suoi taccuini di soldato, una serie di versi, che verranno in seguito raccolti e pubblicati con il titolo Il porto sepolto. Da questa raccolta sono tratti questi due componimenti, esempi della poetica ungarettiana in cui le tracce della poesia simbolista vengono rielaborate e danno avvio a quella corrente nota come “ermetismo”. Il tema principale che attraversa le poesie di Ungaretti è la morte, conosciuta da vicino durante la terribile esperienza dei combattimenti e della vita in trincea; la morte è costantemente presente e riempie il paesaggio, teatro dei combattimenti; ecco quindi che la “pietra del S. Michele” (metonimia per indicare l’insieme dell’altopiano carsico) risulta “fredda […] dura […] prosciugata […] refrattaria […] totalmente disanimata”, mentre i “dossi di monti” dello stesso altopiano si coricano “nel buio delle valli” lasciando queste immerse in un “niente” rotto solamente dal suono dei grilli. Alla tristezza del paesaggio bellico corrispondono i sentimenti di afflizione del poeta: la “pietra […] disanimata” è allora il termine del paragone (“Come”), funzionale per esprimere il “pianto” del poeta, un pianto metaforico perché non visibile, ma risentito dalla sua condizione di soldato: giovane uomo ancora in vita – come indica l’affermazione del titolo (“Sono una creatura”) – ma affranto da un’esistenza drammatica. La “sonnolenza” che dà il titolo al secondo componimento, indica l’illusione di un riposo ristoratore: in realtà, il silenzio e la quiete del paesaggio fanno scaturire nel poeta una profonda “inquietudine”. La strofa che chiude “Sono una creatura” è un proclama valido per l’insieme delle poesie de Il porto sepolto e trova un’eco, anche se più delicata, nell’“inquietudine” che chiude “Sonnolenza”: la vita del soldato è drammaticamente difficile e trova forse solamente nella morte una liberazione.
Giuseppe Ungaretti è il rappresentante più celebre tra gli scrittori e poeti italiani della Grande Guerra. Le poesie de Il porto sepolto portano tutte, sotto il titolo, un’indicazione topografica e cronologica che permettono una localizzazione spazio-temporale dei messaggi poetici, informazioni non sempre decifrabili all’interno delle poesie.