San Martino & Monte Resegone, Resegone (LC), Lombardia
Capitolo I
Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte […] La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l’uno detto di san Martino, l’altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talchè non è chi, al primo vederlo, purchè sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon pezzo, la costa sale con un pendìo lento e continuo; poi si rompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l’ossatura de’ due monti, e il lavoro dell’acque. Il lembo estremo, tagliato dalle foci de’ torrenti, è quasi tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigne, sparse di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna. (pp. 9-10)
Capitolo VIII
[…] Lucia […] scese con l’occhio giù giù per la china, fino al suo paesello, guardò fisso all’estremità, scoprì la sua casetta […] e, seduta, com’era, nel fondo della barca, posò il braccio sulla sponda, posò sul braccio la fronte, come per dormire, e pianse segretamente. Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti: addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! (p.162-163)
A uno degli incipit più celebri della storia della letteratura italiana fa eco un altro passo, altrettanto celebre, noto come l’“addio ai monti”. Nel primo capitolo dei Promessi Sposi, a partire da una vista d’insieme, il lettore viene calato lentamente nel luogo dell’inizio dell’azione della vicenda romanzesca; nel capitolo VIII il lettore assiste a uno sfogo straziante (benché svolto “segretamente”) di Lucia che, costretta a lasciare il paesino natale per fuggire alla bramosia di Don Rodrigo, si rivolge agli amati “monti”, sfondo della sua esistenza, tranquilla fino a quel momento. In entrambi i casi, il luogo si definisce attraverso questi “monti”, nati dalle “acque” e caratterizzati da un “pendìo” dolce. Va notata pertanto la differenza di focalizzazione in atto nei due passi: nel capitolo I, vi è un avvicinamento, poiché il narratore introduce il lettore in una collocazione geografica (e quindi linguistica…) determinata, utilizzando lessemi precisi quali “seni”, “golfi”, “promontorio”, “costiera”, “cocuzzoli”, “pendìo”, “poggi”, “valloncelli”, “erte”, “ispianate”, “ghiaia” o “ciottoloni”; nel capitolo VIII, invece, è in atto un allontanamento e la descrizione, vista dalla prospettiva di Lucia, è più sentimentale che precisa, rivolta a rimpiangere le “voci domestiche” e i “familiari torrenti” che sta abbandonando.
Manzoni, Alessandro: I Promessi Sposi, a cura di Salvatore Silvano Nigro, Mondadori, Milano, 2002.