Aspromonte, Careri (RC), Calabria

 

Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque. I pastori stanno nelle case costruite di frasche e di fango, e dormono con gli animali. Vanno in giro coi lunghi cappucci attaccati a una mantelletta triangolare che protegge le spalle […]. I torrenti hanno una voce assordante. Sugli spiazzi le caldaie fumano al fuoco, le grandi caldaie nere sulla bianca neve, le grandi caldaie dove si coagula il latte tra il siero verdastro rinforzato d’erbe selvatiche. Tutti intorno coi neri cappucci, coi vestiti di lana nera, animano i monti cupi e gli alberi stecchiti, mentre la quercia verde gonfia le ghiande pei porci neri. Intorno alla caldaia, ficcano i lunghi cucchiai di legno inciso, e buttano dentro grandi fette di pane. Le tirano su dal siero, fumanti, screziate di bianco purissimo come è il latte sul pane. I pastori cavano fuori i coltelluzzi e lavorano il legno, incidono di cuori fioriti le stecche da busto delle loro promesse spose, cavano dal legno d’ulivo la figurina da mettere sulla conocchia, e con lo spiedo arroventato fanno buchi al piffero di canna. Stanno accucciati alle soglie delle tane, davanti al bagliore della terra, e aspettano il giorno della discesa al piano, quando appenderanno la giacca e la fiasca all’albero dolce della pianura. Allora la luna nuova avrà spazzata la pioggia, ed essi scenderanno in paese dove stanno le case di muro, grevi delle chiacchiere e dei sospiri delle donne. Il paese è caldo e denso più d’una mandra. Nelle giornate chiare i buoi salgono pel sentiero scosceso come per un presepe, e, ben modellati e bianchi come sono, sembrano più grandi degli alberi, animali preistorici. Arriva di quando in quando la nuova che un bue è precipitato nei burroni, e il paese, come una muta di cani, aspetta l’animale squartato, appeso in piazza al palo del macellaio, tra i cani che ne fiutano il sangue e le donne che comperano a poco prezzo.

Questo passaggio è l’incipit del racconto che apre una raccolta intitolata Gente in Aspromonte. È proprio questo racconto, il più lungo, a dare il suo titolo all’insieme della raccolta. L’incipit è drammatico: partendo da una negazione (“Non è bella la vita…”), il narratore introduce il lettore in un’ambientazione dura, quella delle condizioni di vita sui “monti cupi” dell’Aspromonte, in particolare in inverno. In questo passaggio si sviluppa una contraddizione attraverso il contrapporsi dell’isotopia del colore bianco, il colore della neve e quella del nero, colore scelto per sottolineare la difficoltà della vita in montagna in inverno: si notano, allora, le case “costruite di… fango” sul terreno presumibilmente coperto di neve; il contrasto tra le “grandi caldaie nere sulla bianca neve” e quella stessa “bianca neve” all’origine di tanti fastidi, quali i “torbidi torrenti” dalla voce “assordante”; il latte coagulato in queste stesse caldaie, un latte “bianco purissimo come è il latte sul pane”, consumato dai pastori infreddoliti, coperti “coi neri cappucci, coi vestiti di lana nera”. In questo ambiente, anche la prospettiva della fine dell’inverno – e quindi della discesa a valle – s’intorbidisce di fronte alla notizia che, “di quando in quando”, un bue (dalla parvenza di animale preistorico, poiché “ben [modellato] e [bianco] e dall’apparenza “più [grande] degli alberi”) precipita nei burroni del massiccio.

Pertanto, questi tragici avvenimenti, sebbene sottolineino la drammaticità delle condizioni di vita sull’Aspromonte, appartengono alla vita di queste zone: una vita miserevole e, a tratti, animalesca (“come una muta di cani”). La dichiarata non-bellezza della vita in Aspromonte consiste proprio nel connubio tra durezza, asprezza, drammaticità e rozzezza, topos della letteratura meridionalistica, di cui Corrado Alvaro sarà uno degli esponenti principali.

 

Alvaro, Corrado: Gente in Aspromonte und andere Novellen, a cura di Pia Di Mayo-Gelati e Erich Stock, Julius Groos, Heidelberg, 1946, p. 11.